venerdì 15 ottobre 2010

Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti

Fin dalla vittoria, nel maggio di quest'anno, della Palma d'oro al festival di Cannes, il nuovo film del thailandese Apichatpong Weerasethakul ha diviso violentemente gli spettatori. Chi ne ha amato il potenziale immaginifico e il gioco magico dell'immagine, chi ne ha odiato il ritmo cadenzatissimo, quasi opprimente nella sua lentezza, confondendola con la noia. Chi scrive è dalla parte dei primi, pur capendo i secondi.
La storia vede al centro Boonmee, anziano malato di insufficienza renale, che decide di passare gli ultimi suoi giorni in campagna, coi parenti: ma qui gli appaiono i fantasmi del suo passato, con cui parla e che lo aiutano a capire molte cose. Dramma funebre e tradizione fiabesca thailandese si fondono col cinema d'autore più radicale e con la distorsione estrema della forma narrativa in un film, scritto dal regista, che gioca con le percezioni dello spettatore e la sua capacità di sorprender(si).
La cornice esistenziale del faccia a faccia con la malattia e la morte diventa nel film un veicolo per affrontare alcuni dei nodi cardine della cultura e della storia thailandese come la guerra contro il regime comunista, i rapporti con l'immigrazione e per mettere in scena una visione della realtà serena e armoniosa in cui tra natura e cultura, vita e morte, spiritualità e realismo può esistere una terza, sintetica via. Apichatpong conduce il film sul filo rischioso del surrealismo, della ricomposizione degli estremi, della creazione di una realtà in cui i fantasmi visibili a tutti, gli spiriti (come quello del pesce gatto e della parabola della principessa), i luoghi mistici hanno la concretezza della realtà, della materia (la caverna come utero) e il mistero della magia.
Il regista crede in un'idea di cinema estrema in cui non conta cosa accade tra le immagini e le inquadrature, ma dentro le stesse, rendendo visibile attraverso l'uso del tempo e della durata qualcosa che pareva non esserci di primo acchito: chiede tanto, forse troppo allo spettatore, in termini di resistenza, di apertura mentale, di impegno cerebrale, ma a saperlo seguire lo ripaga con una sensazione metafisica e spirituale rara nel cinema odierno (il finale in cui la ricomposizione iniziale si serpara letteralmente è anche riprova di una certa lucidità politica). Che rischia il ridicolo in più di un'occasione (il pesce che deflora la principessa) – e il doppiaggio non aiuta, ma è pregno e vivido, finalmente.  

Voto: 7,5

1 commento:

  1. Visivamente eccezionale....
    Bello il blog, ti seguirò, ho anche io un blog di cinema se ti va da un'occhiata

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