domenica 17 ottobre 2010

Buried


A creare attesa e scalpore attorno a un film ci possono essere i nomi imponenti del regista o degli attori, una fonte letteraria di prestigio, ma anche la semplice idea di partenza. Per esempio un luogo in cui chiudere l'intera pellicola: Hitchcock lo fece con la stanza nella Finestra sul cortile, o con l'appartamento in piano sequenza di Nodo alla gola, oppure – scendendo più giù – la cabina telefonica di In linea con l'assassino di Schumacher.
Oppure una bara, luogo sinistro in cui Rodrigo Cortès (al secondo lungometraggio) chiude Ryan Reynolds dotandolo di un cellulare e di un accendino: con questi due elementi dovrà mantenersi vivo e cercare di farsi liberare. E tangenzialmente, anche capire chi l'ha messo li e perché. Sfida tecnica e narrativa raccolta da Cortès e dallo sceneggiatore Chris Sparling per mettere su un thriller tesissimo e paradossalmente fantasioso.
A partire dai titoli di testa ispirati a quelli di Bass per Hitchcock, con le musiche di Victor Reyes a orecchiare, il regista non cerca una riflessione filmica sull'immobilità e la claustrofobia (com'era la sequenza di Kill Bill 2) e solo in parte allarga la discussione alla guerra e alla ricostruzione americana in Iraq: Buried è un film di puro meccanismo, che funziona solo con forti dosi di sospensione d'incredulità, ma che dal mero punto di vista della suspense non perde un colpo.
La sceneggiatura è abile nel far ripartire la tensione e nel non bloccare mai l'intreccio (fino al finale, a suo modo disperato) e Cortès ci mette un eclettismo tecnico fatto di zoom, carrelli e panoramiche che crea uno spazio virtuale dove manca quello fisico (qualcuno potrebbe dire che questo è il cinema) anche a costo di limitare la reazione fisica dello spettatore. Che magari non s'immedesima del tutto in Reynolds – anche a causa di qualche frecciata satirica – ma che si gode un bello spettacolo di genere.

Voto: 7

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