venerdì 15 ottobre 2010

Wall Street - Il denaro non muore mai

Nel 1987, Oliver Stone metteva alla berlina quel delirante fenomeno sociale chiamato yuppismo e le derive liberiste della società americana con uno dei suoi film più celebri, Wall Street, successo che diede al protagonista Michael Douglas la gioia del premio Oscar. A 23 anni di distanza, grazie all'incombenza di una globale e devastante crisi economica, Stone torna su quei lidi con il seguito del film dedicato alle magagne dell'alta finanza. Che amplifica i difetti dell'originale.
Dopo otto anni di carcere, Gordon Gekko è tornato in libertà e sbarca il lunario scrivendo libri finanziari e apparendo in televisione: attirando l'attenzione di Jake, giovane e rampante broker di una società al collasso che è fidanzato con la figlia di Gekko: affari, intrighi e famiglia s'intrecceranno ben presto. Allan Loeb e Stephen Schiff scrivono un dramma dalla parvenza thriller che si confronta con il tema più attuale ma anche più scivoloso e difficile da trattare, cercando troppo l'appiglio del melodramma familiare.
Il film mette in scena il dietro le quinte dei tracolli economici e finanziari che hanno causato il più grande collasso dal '29, spostando l'attenzione dall'avidità dei singoli all'avidità eretta come sistema, come base sulla quale fondare intere politiche: nel film tutto parla di denaro, tutto è soldi, non solo i comportamenti dei personaggi, ma i luoghi, i volti, gli oggetti, raccontando del consumismo anni '80 come un cancro diffuso tra le nuove forme di economia e finanza creativa. Stone ha la stoffa del narratore di razza e lo si nota nella prima parte, in cui l'investigazione e gli intrighi rendono affascinante una materia potenzialmente micidiale; ma poi si lascia andare al semplicismo manicheo da cui è affetto da sempre e lascia che il film si abbandoni alla deriva dei buoni sentimenti.
Un Money & the City in pratica, in cui la sceneggiatura si perde in citazioni e in-jokes non proprio simpatici prima di ripiegare sulla famiglia e i ricatti emotivi che ricordano molto il cinema americano degli '80, riscattato da una regia spesso efficace nel restituire l'abbraccio affascinante e mortale del vetrocemento dei grattacieli, perfetto parallelo del personaggio di Gekko che Michael Douglas interpreta con l'ambiguità giusta e richiesta per intrappolare personaggi e spettatori: anche perchè, per imbambolare Shia LaBoeuf troppo invischiato nel bravo ragazza e Carey Mulligan, troppo brava mogliettina, non serve certo un genio del male.

Voto: 6

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