venerdì 15 ottobre 2010

L'estate d'inverno

Ancora storia di cattiva distribuzione italiana: girato nel 2007, presentato al festival di Roma del 2008 e uscito solo il 15 ottobre 2010, l'esordio nel lungometraggio di Davide Sibaldi arriva sul grande schermo grazie all'interessamento del benemerito Christian Lelli di Iris Film. Che produttivamente va sul sicuro con un film girato con due soli personaggi in una stanza. A di un surplus di artificio.
Un ragazzo dopo un rapporto con una prostituta del doppio dei suoi anni le chiede di restare un'altra ora a parlare: nonostante la ritrosia di lei, i due tireranno fuori i loro demoni, gli abbandoni subiti e quelli effettuati. Uno psico-dramma da camera che Sibaldi ha scritto ispirandosi chiaramente al Dreyer di Due esseri e a Bergman, ma che non riesce ad andare più in là di un comune adattamento teatrale appesantito da troppe parole a vuoto.
Il cuore del film – sbandierato ogni 2-3 minuti e ribadito pesantemente in conferenza stampa – è riflettere su cosa accade agli esseri umani quando vengono abbandonati, le reazioni, le deviazioni psicologiche, i traumi non risolti e che il dialogo e il confronto possono aprire come squarci, e forse risolvere; il vero problema del film di Sibaldi non è nell'impianto di base, ma soprattutto nella difficoltà di rendere vere le emozioni e le sensazioni così apertamente messe in scena, un po' perché la realizzazione si perde nei fronzoli, un po' perché il cuore del film è debole.
E la colpa è in sostanza di una sceneggiatura che usa dialoghi ridondanti, della falsa letteratura delle parole che si adagia su escamotages come i lapsus “freudiani” e di una regia che eccede in riprese estemporanee e vuote (la città, l'albergo) e in un montaggio per-cinetico che tradisce una sfiducia negli attori. Giustamente: Fausto Cabra è davvero pessimo nonostante ogni sforzo, mentre Pia Lanciotti, molto migliore, si lascia andare a troppo birignao. E quando non c'è altra via d'uscita, per lo spettatore e per il film, che attendere la chiusura, una stanza di motel diventa una vera prigione.

Voto: 5

3 commenti:

  1. Sono assolutamente d'accordo con te. So che la parola "pesante" non dovrebbe essere utilizzata in una recensione/commento, ma la sceneggiatura è proprio pesante. Pesante nella sua ridondanza, pesante nella staticità emotiva, pesante di un'interpretazione vacua e urlata, con gli occhi socchiusi per amplificare un pathos che non c'è. Bella l'interpretazione di Pia Lanciotti, ma affossata da tutto il resto. Difficile arrivare indenni ai titoli di coda.

    RispondiElimina
  2. Ciao!
    Innanzitutto complimenti per il blog!
    Vorrei invitarti a leggere il mio blog... ho appena iniziato... spero di migliorarlo!
    A presto,


    Antonella

    RispondiElimina
  3. X Teresa: no no, usala pure...
    X Antonella: grazie dei complimenti e dell'invito di cui sto approfittando ora... ;)

    RispondiElimina