Brutti, sporchi e in fondo
tenerissimi
La famiglia in tv è
sempre stata lo specchio di tutte le più perverse fantasie
perbeniste: casa grande, pulitissima e possibilmente a due piani, un
sacco di figli – ché come dicevano i Monty Python “Every sperm
is sacred” –, fasulle felicità fatte di sorrisi imbalsamati e
battutine stantie e metodi educativi lontani anni luce da Maria
Montessori. Un incubo di quelli che ti lasciano sul lettino dello
psicoanalista per anni, su cui si è formato l'inquietante
immaginario che faceva da sfondo a Pleasantville, delizioso film di
Gary Ross datato '98.
Un immaginario che ha
nomi ben precisi: Leave It to Beaver e The Brady Bunch, di cui solo
il secondo in onda in Italia come La famiglia Brady, colpevoli di
aver tolto dalla famiglia – e dalla sitcom in generale – ogni
accenno di problema, di inquietudine, facendo credere al mondo che la
famiglia fosse un asettico idillio. E poi per fortuna arrivano i
primi colpi, all'inizio animati (come I Simpson, I Grififn o South
Park) e poi via via sempre più in carne e ossa, deflagrando nel
2004, quando l'esimio Paul Abbott – autore di punta della tv
britannica con prodotto come Cracker e State of Play – crea
Shameless, letteralmente “senza vergogna”, che mette in scena, e
continua a farlo tutt'ora, una famiglia che ridefinisce il
significato di disfunzionale, con un padre ubriaco perso, figli dai
mille problemi psico-sociali, vicini ninfomani e tutte le forme di
disprezzo possibili per le istituzioni. Successo assicurato e
valanghe di premi vinti.
Perchè non ne avrebbero
dovuto approfittare dagli USA? E così è stato: il 9 gennaio 2011
Showtime licenzia il remake americano di Shameless. La vera sorpresa
è che il remake funziona. Anzi, è anche meglio dell'originale.
Sviluppato dallo stesso Abbot col supporto di uno dei colossi della
tv statunitense John Wells (E.R.-Medici in prima linea, The West
Wing), lo show racconta della famiglia Gallagher e soprattutto dei
suoi due pilastri: il padre Frank, ebbro in quanto tale, talmente
bisognoso di alcool e affetto da farsi sodomizzare da un'agorafobica
in cambio di buon cibo, amore e spirito (in tutti i sensi), e Fiona,
la figlia maggiore, l'unica in grado ma anche costretta a tenere la
testa sulle spalle per gestire una famiglia fatta di altri quattro
fratelli, dalle differenti difficoltà di apprendimento, di
relazione, o di semplice rispetto per l'autorità parentale.
In questo marasma di urla
e chiazze di vomito, gente sdraiata sul pavimento e incapacità di
comunicare, di amori rifiutati, imposti, mai compresi eppure
onnipresenti – come i vicini e amici che trovano ogni luogo e
occasione per fare sesso, soprattutto a casa Gallagher – spunta il
fiore che rende questo remake, caso raro specie nel confronto
Usa/Gran Bretagna, migliore dell'originale: Shameless U.S., con le
sue 12 puntate rinnovate già per la seconda stagione, sa trovare il
perfetto equilibrio tra la scorrettezza sociale, lo stravolgimento
del bon ton della famiglia televisiva e il respiro di un racconto
dove al posto dei “buoni sentimenti” ci sono i sentimenti, nudi e
crudi, che non ricattano lo spettatore, ma lo coinvolgono, che
rimpiazzano il cinismo sterile della versione inglese con una
capacità narrativa e di descrizione dei personaggi meglio rodata.
E merito principale, al
fianco degli egregi sceneggiatori, va al cast, composito e
scintillante: già la sola presenza di William H.Macy illuminerebbe
qualunque prodotto, ma la definizione del suo Frank è incredibile,
trasuda squallore e amore da ogni poro, intreccia abiezione e voglia
di riscatta con una finezza e un'ironia straordinarie, ma meritano
considerazione la bella Emmy Rossum, che riscatta i bamboleggiamenti
della sua Christine nel Fantasma dell'opera di Schumacher, e
un'indimenticabile Joan Cusack, tenerissima e inquietante Sheila
Jackson, donna che ha paura nell'uscire di casa, meno nell'usare
enormi falli di gomma coi suoi uomini. Una triade che tra ripugnanza
e gioia ha saputo trovare il cuore dello spettatore.
(Pubblicato su The Cinema Show)
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