sabato 5 maggio 2012

Boardwalk Empire


Dirige un solo episodio, il caro Martin, eppure segna l'intera serie. Cosa c'è di più scorsesiano dell'Atlantic City anni '20, del proibizionismo, del gioco d'azzardo (ricordate il sottovalutato Colore dei soldi?) della politica collusa con la mafia mentre la polizia si barcamena tra fanatismi religiosi e connivenze? Boardwalk Empire è il nuovo e vecchio Scorsese, è Mean Streets o Quei bravi ragazzi visto dall'occhio lussuoso del nuovo tycoon di Hollywood, che con Hugo Cabret ha (ri)scoperto il passato del cinema.
Scorsese dirige il pilot di Terence Winter (tra gli autori dei Soprano) e produce gli episodi delle due stagioni finora trasmesse, dando l'imprinting a una serie molto facilmente definibile come l'evento televisivo degli ultimi due anni (non a caso, firma HBO e in Italia va in onda su Sky Cinema): si raccontano le vicende di Nucky Thompson, tesoriere della città, più potente del sindaco anche perché titolare del contrabbando degli alcoolici negli USA degli anni '20, quelli ruggenti che se ne fregavano della crisi economica. E si racconta anche la parabola morale di un paese che non avendo storia si è dovuto costruire sul sangue, sulla violenza, sul crimine e sul sopruso, su un'idea di economia che appoggia il far west più che il libero mercato, il banditismo più che la concorrenza. A guardarlo bene, anche per contiguità temporale, Boardwalk Empire pare il seguito di Gangs of New York: meno barbaro, più curato e truccato, in giacca e cravatta. Ma ugualmente feroce.  

(Pubblicato su Il mucchio)

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