sabato 5 maggio 2012

Black Mirror


I pixel sono i nostri nuovi occhi. La scopofilia insita nel genere umano oggi si chiama sharing. Lo scintillante specchio nero, lo schermo tv, computer o smartphone che ti fissa da ogni muro, tavolo corpo.
Dalla domanda “se la tecnologia è una droga, quali sono i suoi effetti collaterali?”, Charlie Brooker ha creato Black Mirror, miniserie in tre puntate trasmessa dal britannico Channel 4. Une delle cose migliori che degli ultimi anni, e se qualcuno ha già visto il precedente lavoro di Brooker, Dead Set (ossia, George Romero incontra il Grande fratello), può fidarsi sulla parola.
Ogni episodio racconta una storia diversa, come tre mini-film indipendenti tra loro: The National Anthem vede il primo ministro di fronte a un dilemma folle, se salvare o no la principessa rapita da terroristi facendo sesso in diretta con un maiale; 15 Million Merits è ambientato in una società distopica in cui l'umanità, divisa tra magri e grassi, è chiusa in una palestra dove pedala per accumulare denaro e vedere obbligatoriamente programmi tv; The Entire History of You vede invece i protagonisti intenti a gestire le conseguenze di un impianto che trasforma i ricordi in un hard disk. Tre apologhi, parabole scritte da Brooker con Konnie Hug e Jesse Armstrong, tre capolavori in cui più che dimostrare una tesi, come capita a un certo tipo di fantascienza, si racconta il nostro mondo attraverso il filtro del futuro.
Il trittico affrescato da Brooker sviluppa come una sorta di saga – ed è forse questo il vero filo rosso segreto che lega gli episodi – il passaggio da un mondo che usa e vive la tecnologia a un mondo che ne è vissuto, dalle possibilità attive a quelle passive dell'evoluzione cibernetica, dal mondo come comunità (community, per meglio dire) al mondo come prigione. E lo fa andando a fondo dei nodi di ogni singola questione, dipingendo una realtà che, cyberpunkianamente, ha abdicato sé stessa all'elettronica, alla rivoluzione tecnologica, lasciando il posto a Youtube, che sostituisce la tv e si diffonde endemicamente sfruttando la perversione visiva dell'essere umano, allo spettacolo della televisione interattiva, all'incubo del “tutti possono essere qualcuno”, all'azzeramento della memoria in favore dell'immagine audio-visiva (per questo un prodotto del genere, così teorico soprattutto nel terzo episodio, ha come unica destinazione lo schermo di casa più che il cinema).
Nell'emergere di una dittatura sotterranea e beffarda, più complessa dei semplici pericoli della tecnologia cattiva o del troppo progresso, perché ne implica l'utilizzo e quindi l'origine umana (come è evidente dai giudici del talent-show Hot Shot, tra cui Rupert Everett), Black Mirror descrive il conflitto tra chi “collabora” col tiranno e chi cerca di ribellarsi, in una civiltà in cui l'unica forma di partigianeria è non guardare più: ci provano gli spettatori dell'osceno accoppiamento del premier – che ricorda mostruosità filmiche come A Serbian Film o The Human Centipede, seppure non esplicito –, ci prova Bing, costretto alla pay-per-non-view per portare avanti una delle più dolci storie d'amore degli ultimi tempi, ci prova Liam, i cui ricordi registrati gli distruggono vita e matrimonio.
Ma Brooker sa scartare le ingenuità e le semplificazioni “hollywoodiane” per una visione lucida, agghiacciante (come il rapporto nel terzo episodio), che lascia il segno senza lasciare speranze. Un pessimismo nichilista che si apre nell'ultima scena dell'ultimo episodio e che viene riscattato durante le tre ore di visione da una varietà e ricerca stilistica impressionante, che va dal political-drama teso e brillante al romanticismo disperato fino alla versione Bergman 2.0 con cui si chiude il trittico. Sarà arduo vederlo in Italia, come l' enorme Red Riding (pure in tre parti). Ma internet esiste anche per questo.

3 serie simili da consigliare:
Red Riding Trilogy, Dead Set, The Net

3 artisti per la colonna sonora:
Daft Punk, Sigur Ros, Battles

(Pubblicato su Il mucchio)

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