I pixel sono i nostri
nuovi occhi. La scopofilia insita nel genere umano oggi si chiama
sharing. Lo scintillante specchio nero, lo schermo tv, computer o
smartphone che ti fissa da ogni muro, tavolo corpo.
Dalla domanda “se la
tecnologia è una droga, quali sono i suoi effetti collaterali?”,
Charlie Brooker ha creato Black Mirror, miniserie in tre puntate
trasmessa dal britannico Channel 4. Une delle cose migliori che degli
ultimi anni, e se qualcuno ha già visto il precedente lavoro di
Brooker, Dead Set (ossia, George Romero incontra il Grande fratello),
può fidarsi sulla parola.
Ogni episodio racconta
una storia diversa, come tre mini-film indipendenti tra loro: The
National Anthem vede il primo ministro di fronte a un dilemma folle,
se salvare o no la principessa rapita da terroristi facendo sesso in
diretta con un maiale; 15 Million Merits è ambientato in una società
distopica in cui l'umanità, divisa tra magri e grassi, è chiusa in
una palestra dove pedala per accumulare denaro e vedere
obbligatoriamente programmi tv; The Entire History of You vede invece
i protagonisti intenti a gestire le conseguenze di un impianto che
trasforma i ricordi in un hard disk. Tre apologhi, parabole scritte
da Brooker con Konnie Hug e Jesse Armstrong, tre capolavori in cui
più che dimostrare una tesi, come capita a un certo tipo di
fantascienza, si racconta il nostro mondo attraverso il filtro del
futuro.
Il trittico affrescato da
Brooker sviluppa come una sorta di saga – ed è forse questo il
vero filo rosso segreto che lega gli episodi – il passaggio da un
mondo che usa e vive la tecnologia a un mondo che ne è vissuto,
dalle possibilità attive a quelle passive dell'evoluzione
cibernetica, dal mondo come comunità (community, per meglio dire) al
mondo come prigione. E lo fa andando a fondo dei nodi di ogni singola
questione, dipingendo una realtà che, cyberpunkianamente, ha
abdicato sé stessa all'elettronica, alla rivoluzione tecnologica,
lasciando il posto a Youtube, che sostituisce la tv e si diffonde
endemicamente sfruttando la perversione visiva dell'essere umano,
allo spettacolo della televisione interattiva, all'incubo del “tutti
possono essere qualcuno”, all'azzeramento della memoria in favore
dell'immagine audio-visiva (per questo un prodotto del genere, così
teorico soprattutto nel terzo episodio, ha come unica destinazione lo
schermo di casa più che il cinema).
Nell'emergere di una
dittatura sotterranea e beffarda, più complessa dei semplici
pericoli della tecnologia cattiva o del troppo progresso, perché ne
implica l'utilizzo e quindi l'origine umana (come è evidente dai
giudici del talent-show Hot Shot, tra cui Rupert Everett), Black
Mirror descrive il conflitto tra chi “collabora” col tiranno e
chi cerca di ribellarsi, in una civiltà in cui l'unica forma di
partigianeria è non guardare più: ci provano gli spettatori
dell'osceno accoppiamento del premier – che ricorda mostruosità
filmiche come A Serbian Film o The Human Centipede, seppure non
esplicito –, ci prova Bing, costretto alla pay-per-non-view per
portare avanti una delle più dolci storie d'amore degli ultimi
tempi, ci prova Liam, i cui ricordi registrati gli distruggono vita
e matrimonio.
Ma Brooker sa scartare le
ingenuità e le semplificazioni “hollywoodiane” per una visione
lucida, agghiacciante (come il rapporto nel terzo episodio), che
lascia il segno senza lasciare speranze. Un pessimismo nichilista che
si apre nell'ultima scena dell'ultimo episodio e che viene riscattato
durante le tre ore di visione da una varietà e ricerca stilistica
impressionante, che va dal political-drama teso e brillante al
romanticismo disperato fino alla versione Bergman 2.0 con cui si
chiude il trittico. Sarà arduo vederlo in Italia, come l' enorme Red
Riding (pure in tre parti). Ma internet esiste anche per questo.
3 serie simili da
consigliare:
Red Riding Trilogy, Dead
Set, The Net
3 artisti per la colonna
sonora:
Daft Punk, Sigur Ros,
Battles
(Pubblicato su Il mucchio)
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