giovedì 21 luglio 2011

Bitch Slap-Le superdotate

  Il ritorno delle maggiorate violente. O solo un malinteso estetico?

Picchiano, scalciano, sparano, mostrano le generose grazie, fanno sesso ma dal loro punto di vista il termine è un po' edulcorato. Sono le vixens, le foxy girl o i molti modi in cui il cinema degli anni '60 e '70 ha chiamato le attrici belle, provocanti, eccessive. E letali. Erano gli anni della sexploitation, quel filone di cinema di serie B (e anche più in basso) che mescolava violenza, azione e sesso quasi esplicito, anticipando la diffusione commerciale dell'hardcore.
Li realizzavano registi che il tempo ha rivalutato come Jesùs Franco, Jean Rollin, Joe D'Amato. E soprattutto Russ Meyer, regista che girava, fotografava, montava e scriveva con stile del tutto personale, autore di film di culto notevoli al di là dell'effetto vintage come Motorpsycho!, Beneath the Valley of Ultravixens e Faster Pussycat! Kill! Kill!
E proprio quest'ultimo film è alla base del film di Rick Jacobson che dal 22 luglio sarà nelle sale italiane: Bitch Slap-Le superdotate, filmetto d'azione con tre spogliarelliste particolarmente dotate dalla natura e dal chirurgo che cercano di spartirsi un bottino, di ammazzare di botte i cattivi – e anche tra di loro – e a destreggiarsi in intrighi spionistici incomprensibile, anche perchè costruiti a ritroso per sfruttare la moda dei flashback a ripetizione. La storia o almeno i personaggi ricalcano abbastanza pedissequamente quelli del film di Meyer (abbondantemente omaggiato nei titoli di testa) ma se quello è un on the road selvaggio e violento, in questo stanno tutti fermi nello stesso posto per un'ora e mezza.
Jacobson è incapace di movimentare un film inerme per definizione, ma soprattutto fa mancare alla pellicola e allo spettatore il ritmo, la vitalità, la forza iconica dei film che vorrebbe rifare, per non parlare della furbizia cinica con cui la pessima fattura tecnica viene fatta passare per volontaria e l'ipocrisia fasulla con cui travisa lo spirito sessuale e di genere del filone: se icone come Tura Satana, Pam Grier, Kitten Natividad (sia lodata) si concedevano incessantemente, solcavano set e inquadrature con fare provocante, si spogliavano, davano il loro corpo quasi a chiunque fosse in scena, le tre modelle stile Playboy del film di Jacobson – vale a dire Julia Voth, Erin Cummings e America Olivo – sono sempre vestite anche nello strip-club e l'unico accenno sessuale che concedono è del petting lesbico.
E questo pone l'accento sul senso e il malinteso di questo fenomeno revival del cinema-bis in lungo e largo per il mondo, dalla coppia Tarantino-Rodriguez fino a Takashi Miike: posto che chi scrive non può non amare il cinema di genere, anche basso, anche datato, con cui è cresciuto, che senso è declinarlo nel riciclo di ciò che era originale 30 anni prima? Ma oltre che sulla morte delle idee e della creatività in parte dell'industria (non solo) hollywoodiana, sarebbe il caso di riflettere anche sui modi in cui il ritorno distorto del cinema trash, dei midnight movies, eccetera invade gli schermi.
E proprio dall'accoppiata cardine Tarantino-Rodriguez bisogna partire, dal loro manifesto teorico: Grindhouse, un double-feature come si usava proprio nei '60. Tarantino in Death Proof rilegge in senso estremo la struttura di quei film e la intellettualizza, ampliando a dismisura il dialogo (spesso imperdibile) e concentrando la violenza in due sequenze fulminanti, operazione discutibile ma personale e a suo modo sensata; Rodriguez in Planet Terror invece replica in modo pedissequo, anche se vagamente ironico e con molti più soldi, quel tipo di cinema e i giochetti citazionisti o le trovate dimostrano che l'unico intento del regista è scherzare, ma ridono solo gli iniziati. E qui sta il crollo di questo revival senza personalità (portato all'estremo in Machete, seppure meglio riuscito del precedente).
Spesso questi film non immortalano l'amore per un tipo di cinema e per la loro tradizione, ma semplicemente l'uso cinico di quei materiali (e dei loro estimatori) per irriderli senza il coraggio della parodia, per raccontare barzellette, per strizzare l'occhio allo spettatore disinteressandosi di regia, messinscena, del cinema insomma. E spesso girati in modo cialtronesco, come il film di Jacobson dimostra, senza alcuna idea di cinema, a differenza degli originali. E allora fatevi un favore: vedetevi l'esilarante Piranha di Aja. O meglio, recuperate lo yakuza-horror-cyber Yakuza Weapon di Sakaguchi e Yamaguchi, e assaporatene il vero amore per la materia filmica e per i suoi trascorsi.

Le Volpi Forza 5 del cinema di serie B
Tura Satana: nome d'arte di Tura Luna Pascual Yamaguchi, mix etnico di esplosiva sensualità, viso raffinato e corpo da rivista porno. Ma oltre al sesso, vita e carriera s'incentrano sulla violenza, tra il karate e l'arma da fuoco: la sua mitica Varla nel film di Meyer è un colpo al cuore per ogni feticista, seduce uomini e donne, spara, rapina e travolge con l'auto chinque, persino un paralitico. Come si fa a non innamorarsene?

Pam Grier: anche più di Satana, vera icona della sexploitation. O meglio della Blaxploitation, il filone adattato ai gusti afroamericani. E Pam è una nera dal fisico sinuoso e indimenticabile, ma anche con un carisma e un talento recitativo che raramente attrici del genere hanno. Diventata immortale con Coffy e Foxy Brown, torna alla ribalta con Fuga da Los Angeles e soprattutto Jackie Brown: è di nuovo amore.

Francesca Kitten Natividad: altra icona, oltre che compagna, di Russ Meyer è la più dolce delle dive della sexploitation: volto simpatico e cartoonesco, fisico morbidissimo dall'enorme seno materno, Kitten diventa famosa grazie al geniale Beneathe the Valey of Ultravixens, in cui balla per il suo uomo quasi impotente armata di un calzino e un uovo. Uno degli apici del cinema meyeriano. E della sua carriera.

Laura Gemser: splendida attrice di origine indonesiana, molto meno popputa delle sue colleghe, deve la sua fama alla serie Emanuelle nera che rivedeva in chiave softcore e casareccia (dirigevano D'Amato o Albertini) del celebre romanzo erotico di Arsan. La sua sensualità raffinata e il suo impegno “proto-femminista” ne hanno fatto un'attrice che ha resistito al tempo grazie a film come Emanuelle: perché violenza alle donne?

Edwige Fenech: se non la più bella donna del cinema italiano, sicuramente il seno più bello e l'attrice più vivace di quel cinema anni '70 nostrano che spesso era pura goliardia. Portata per la commedia sexy (irresistibile in Taxi Girl), con puntate efficaci nel thriller (Lo strano vizio della signora Wardh), ha dato il meglio del suo “talento” nel celeberrimo Alle dame del castello piace molto fare quello o nel censuratissimo Top Sensation.
(pubblicato su The Cinema Show n°11)
   

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