giovedì 21 luglio 2011

L'uomo d'acciaio forza lo schermo

La fine di Smallville e il fenomeno Superman in tv
 
Negli anni '50, quando il mondo forse era più ingenuo, guardando un oggetto sfrecciare in cielo ci si chiedeva: è un uccello? È un aereo? Oggi, a 60 anni di distanza, figli smaliziati dell'estetica del fumetto, non abbiamo bisogno nemmeno di alzare gli occhi al cielo: è un supereroe, anzi IL supereroe: Superman, l'uomo d'acciaio, la salvezza dell'american way of life creato nel '38 da Jerry Siegel e Joe Shuster.
Una figura messianica e di speranza, ma anche di forza e lotta che ha attraversato indenne – d'altronde è invulnerabile – più di 70 anni di cross-medialità, dal fumetto, al cinema (l'anno prossimo dovrebbe arrivare la versione targata Zack Snyder e scritta dai fratelli Nolan), fino in tv. E, tolta la carta stampata e le infinite rinascite e rivoluzioni che la DC Comics impone ai suoi personaggi, è proprio il piccolo schermo il medium che ha saputo leggere le variazioni di target e contesto rispetto alla figura di Superman.
Cominciamo dalla fine, in tutti i sensi, ma anche il suo contrario: Smallville è finito e qualcuno ha gridato finalmente. La serie targata The CW trasmessa in Italia da Italia 1 ha detto addio al suo pubblico (non proprio numeroso) dopo 218 episodi e 10 anni di messa in onda: la serie creata da Alfred Gough e Miles Millar ha avuto l'accortezza di raccontare il Clark Kent adolescente in Texas – ossia tutta quella parte che i film ignoravano – facendone proprio una versione fantasy del classico teen drama.
Nelle intenzioni la variante maschile di Buffy, nei risultati specie con l'andare degli anni, lo show è diventato tre cose, quasi tutte inessenziali: 1) uno scimmiottamento degli archi e delle linee delle serie disegnate cercando di replicare in modo un po' fasullo l'estetica degli albi; 2) una summa del cinema d'azione, fantasy o horror degli ultimi dieci, realizzato copiando pedissequamente mode e film in quasi ogni episodio (un esempio recente, il terzultimo episodio della serie, calco sbilenco del neo-pelpum che già sufficienti danni ha fatto con 300 e Spartacus); 3) una fotografia, involontaria ovviamente, dell'imbarbarimento dei gusti giovanili, filtrati proprio dall'occhio di chi, coi vari Gossip Girl e simili senza escludere MTV, quei gusti li ha forgiati. E la scelta di rinunciare a Superman per mettere in scena solo l'evoluzione (più o meno) di Clark Kent da ragazzo a uomo, impone di rinunciare a una parte importante del personaggio, lasciando campo libero all'espressione accigliata, perplessa, perennemente stupita di Tom Welling, che anche quando verso la fine dovrebbe incarnare un proto-Superman non ci mette più grinta.
E' curioso notare come la tv abbia raccontato a ritroso il cammino dell'eroe, partendo dalla sua versione adulta e arrivando al ragazzino, come una catena di prequel: risalendo gli anni – come fa l'eroe grazie alla velocità della luce – dal 2001 di Smallville ci si imbatte nel 1993, anno cui in cui Deborah Joy Levine, con lo zampino dell'autore di fumetti John Byrne, crea per ABC Lois & Clark-Le nuove avventure di Superman: già dal titolo, si capisce come gli 88 episodi delle quattro stagioni si concentrino sul versante umano e sentimentale e il colelgamento all'universo del fumetto è limitato all'essenziale, con Lex Luthor rivale anche in amore di Clark, col super-criminale Tempus, con superstiti kryptoniani che vogliono conquistare la terra. Per il resto è avventura tv di medio profilo, con simpatici accenni comedy, comunque ben interpretati da Dean Cain e dalla futura casalinga disperata Teri Hatcher.
Per conoscere il Superman adulto, maturo, bisogna risalire fino al 1952, quando ancora la ABC trasmette le prime avventure live-action di Superman, Adventures of Superman, andate in onda per 104 episodi da mezz'ora lungo 6 stagioni. Qui George Reeves fa tutto ciò che abbiamo sempre voluto fare noi comuni mortali: vola alla velocità della luce, ha una forza illimitata, una vista a raggi X che può anche fondere gli oggetti ed è invulnerabile, tranne che alla kryptonite. Peccato che Reeves sia un macigno stolido e del tutto inespressivo, ma soprattutto che le storie che lo coinvolgono sono poco più che canovacci in cui il supereroe combatte contro criminali comuni, magari un po' più pazzi del solito. Conservatore e conformista, lontanissimo dalla follia del fumetto che nel 2003 crearono un Superman parallelo che rendeva reale l'utopia comunista: creatività illimitata che la tv raramente può permettersi.

I volti d'acciaio (in tutti i sensi)

Christopher Reeve: seppure sul grande schermo, anziché sul piccolo, come non si può non ricordare il Superman per eccellenza, capace al meglio d'incarnare la doppia natura dell'eroe, fragile e inaffondabile, ironica e cristologica? Davvero un uomo d'acciaio per sguardo e stazza, paradossalmente reso inerme da una caduta da cavallo: muore nel 2004, in tempo per apparire in alcuni episodi di Smallville. E di aver segnato l'immaginario con quattro film.

George Reeves: praticamente il gemello del Superman dei film. Perché rappresentante di un look del personaggio e di ideologie tradizionali simili, perché hanno un cognome assonante e perché li accomuna la sfortuna: Reeves (con la s) si suicidò a pochi mesi dalla chiusura della serie. Ma non riuscì a entrare nell'immaginario collettivo, nonostante fosse il primo attore in carne e ossa a volare, piegare pezzi di ferro, bruciare i metalli.

Dean Cain: nella serie che racconta il Superman umano e innamorato, Dean Cain rappresenta la vera faccia del Superman bravo ragazzo, pulito, dalla faccia simpatica e il cui fisico non spaventa. Più Clark che Kal-El (il nome kryptoniano dell'eroe e anche quello del figlio del nerd Nicolas Cage), Cain apre al personaggio la strada della commedia, della baruffa sentimentale, del sorriso familiare. Ma dei cazzotti, ogni tanto si sente la mancanza.

Tom Welling: L'ultimo volto di Superman, prima dell'Henry Cavill del Man of Steel di Snyder, di sicuro il più recente sul piccolo schermo: zazzera mora e occhioni blu, un adolescente smarrito che deve fare i conti con la consapevolezza di un sé in fieri e con la mancanza di buon gusto della campagna del Kansas. Sempre vestito in rosso e blu, camicia di flanella e jeans prima di scoprire il costumino aderente: se avesse scoperto anche l'arte della recitazione...
(pubblicato su The Cinema Show n°11)

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